Proposta riguardo la MANIFESTAZIONE PRO TIBET A ROMA 15 GIUGNO

13Giu08

Lettera inviata ad alcuni Parlamentari e Dirigenti Radicali riguardo la manifestazione pro-Tibet del 15 Giugno a Roma, al Colosseo dalle 17 in poi “convocata dalla Comunita’ tibetana in Italia e aperta a tutte le forze politiche per non dimenticare la repressione ancora in corso in Tibet”. Nella lettera riprendo argomenti recentissimamente trattati in questo blog.

Carissimi

Permettetemi di inviare una proposta riguardo la manifestazione pro-Tibet di dopodomani.

Matteo sa gia’ qualcosa al riguardo, in parte, che ho scritto sulla mailing list toscana.

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Abbiamo una grande occasione, dopodomani, per portare avanti l’idea di Marco [Pannella] per un “Tibet libero” e una “Cina libera”, se riusciamo ad uscire dagli antichi confini della nostra giustificatissima lotta politica a favore del popolo tibetano.

Se e’ vero infatti che la solidarieta’ al Governo cinese per il terremoto non puo’ essere un alibi per chiudere gli occhi sulla repressione in Tibet, e’ anche vero che i manifestanti pro-Tibet possono aprire un’opportunita’ di dialogo e comprensione reciproca con la Cina stessa, ricordando il disastro del terremoto nello Sichuan giusto un mese fa.

Non sto suggerendo di organizzare veglie funebri. E non sto dicendo di organizzare un atto di solidarieta’ morale “di buona coscienza a buon mercato”.

Quello che propongo e’ il riconoscimento degli effetti del terremoto, inclusi i cambiamenti nella societa’ cinese, con la dirigenza improvvisamente fotogenica, la grande partecipazione alla raccolta di aiuti (sia a livello personale, sia con una vera competizione fra le citta’ tutte a cercare il prestigio di essere quella che ha donato di piu’), le proteste molto pubbliche sulla qualita’ degli edifici, etc etc.

Quanto e’ piu’ libera la Cina di oggi, in base a quello che si e’ visto dopo il terremoto, rispetto a quella di sei mesi fa? Se ci interessa un Tibet libero, e se ci interessa una Cina libera in cui si sviluppi la democrazia si sviluppi, di fronte a una tragedia colossale occorre allora manifestare la nostra capacita’ di capire il loro dolore, cosi’ grande.

I disastri “naturali” (che poi tanto “naturali” non sono, visto che sono crollate soprattutto le scuole) hanno sempre avuto un profondo significato politico. In Italia non esisterebbe la Protezione Civile se non ci fosse stato il terremoto del 1908 a Messina. Il disastro del ciclone Nargis e’ stato usato da tanti per forzare cambiamenti nel regime birmano. Il comportamento del Presidente George W Bush e dei suoi “collaboratori” al tempo dell’uragano Katrina rimarra’ probabilmente come esempio piu’ calzante del fallimento di 8 anni di amministrazione neo-cons.

E l’effetto potenziale della nostra scelta, sui Cinesi che devono e sono nostri interlocutori, e’ davvero grande: perche’ se alla grande tragedia appena passata dimostriamo di non voler dedicare il nostro tempo, analogamente si potra’ dire che altri possano non voler dedicare il loro tempo alla grande tragedia della storia recente del Tibet.

E questo se permettete vale ancor di piu’ per noi Italiani, e per tutti i nostri morti a causa degli innumerevoli terremoti che colpiscono il nostro Paese. 

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Non occorrono gesti eclatanti per fare un grosso gesto simbolico. Per esempio, si potrebbero accendere 70 candele, una per ogni mille morti del terremoto.

Ci possono essere altre forme: come il manifestare con bandiere tibetane e cinesi insieme, per ricordare a tutti come le politiche recenti abbiano messo in prigione il Tibet, e ucciso decine di migliaia di cinesi stessi, grazie all’assenza, fino ad oggi, di strumenti di controllo e protesta legale da parte delle popolazioni di ogni etnia.

Questi “strumenti di controllo” stanno venendo fuori, grazie alla nascita di una societa’ civile che non dipende dal Partito Comunista, e questa nascita andrebbe sottolineata assieme a tutto il resto: perche’ la Cina non sara’ mai libera, e il Tibet non sara’ mai libero, “grazie” a forzature che vengano dall’esterno.

E’ un momento di possibile cambiamento questo, in Cina.

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Il mio non e’ un invito a “manifestazioni di solidarieta’ a seguito di disastri naturali“: il fatto e’ che il terremoto e’ capitato proprio mentre ci occupavamo di Cina. Parlare di Cina significa quindi parlare (o tacere) del terremoto.

Snobbandolo invece, e con quello tutte le sue conseguenze e cambiamenti umani, sociali e politici, non ci facciamo certo del bene. Anzi, diventiamo irrilevanti: anche quei Cinesi che desiderino cambiare il sistema despotico del loro Paese, non potranno che trovare la nostra compagnia quantomai imbarazzante.

Ma come, si chiederanno, questi (noi) parlano di “pace, liberta’ e giustizia” e non possono neanche degnarsi di un solo pensiero riguardo 70mila morti?

E infatti, l’unico risultato pratico delle proteste (pre-terremoto) contro la Torcia Olimpica, e’ stato una generale sensazione fra i Cinesi, di essere vittime di un insulto collettivo (la qual cosa non e’ tanto lontana dal vero, nel caso delle proteste piu’ violente).

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Quando parliamo di Tibet e Cina, oggi, nel giugno 2008, dedichiamo quindi un angolino della manifestazione ai morti del terremoto.

Cerchiamo di andare oltre le solite contrapposizioni. Non e’ il karma negativo ad aver ucciso tutti quegli scolaretti, ma la combinazione della tettonica a zolle, dell’imperizia umana, e dell’incapacita’ politica di prendersi cura dei propri concittadini di ogni etnia.

Chi puo’ chiudere gli occhi su 70mila morti, 370mila feriti e 17mila dispersi, puo’ chiudere gli occhi su tutto. E allora invece di esporre bandiere tibetane, forse sarebbe piu’ onesto bruciare bandiere cinesi!

saluti
maurizio – londra



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